Origini

Fonte: Le notizia sono state tratte dai testi di Michele Prof. COLABELLA

 

LE ORIGINI DEL PAESE TRA STORIA E LEGGENDA

 

1. Le tracce degli insediamenti più antichi

Le testimonianze più remote degli insediamenti umani nel territorio bonefrano sono fornite dai resti venuti alla luce, in seguito a dei lavori di aratura. L'evento più interessante è stato il ritrovamento, avvenuto nell'estate del 1992, di una lama di spada rimasta impigliata in un estirpatore, risalente alla prima età del Ferro (nono-ottavo secolo avanti Cristo). La lama in bronzo, ricoperta da una patina verdastra, ha una costolatura centrale con tracce di decorazione incisa; il codolo piatto ha due forellini per i ribattini dell'impugnatura.

 

Intorno alla metà degli anni '60, nel corso dell'aratura a motore in un punto abbandonato da tempo immemorabile del Colle della Chiesa, nella frazione di S. Vito, è stato sfortunatamente devastato un sepolcreto di epoca preromana, probabilmente etrusca, con i suoi corredi funerari in terracotta, dei quali si sono salvati soltanto un piattino e un vasetto.

 

 

Più a nord, verso il 1947 nella località Camposello della contrada Canala fu rinvenuta una pietra sepolcrale dell'età imperiale romana con la scritta VOLUMNIAE / C. L. SELIDI, la quale attesta che vi fu sepolta Volumnia Selide, una schiava di origine greca (Selis è un soprannome greco) resa libera dal suo padrone Caio Lucio Gaio. (Una delle ipotesi più probabili è che il luogo significhi il “campo di Selide”).

 

 

Successivamente, nell'estate del 1974 è tornata alla luce un lacus, vale a dire una vasca in muratura lunga m 2,70, larga m 2,20 e profonda da 90 cm a un metro. Per mezzo di tre scalini rotondi si poteva scendere sul fondo, al centro del quale era infossato un vaso di terracotta di 28 cm di diametro, per il suo prosciugamento mediante la raccolta dei liquidi rimasti. Era fornito di un canale formato da due coppi sovrapposti, per la fuoriuscita del vino o dell'olio, che venivano poi versati in grossi recipienti (dolii) interrati all'intorno o sparsi qua e là.

 

All'interno della vasca sono stati rinvenuti i cocci di uno di essi, che portava inciso sul collo un graffito utilizzato dai Sanniti per il numero 50.

 

 

 

In mezzo a tanti frammenti alla fine è apparsa una statuina di piombo di Ercole, testimonianza del culto per l'eroe diffuso fra i sanniti, i romani e altre genti. (Un'altra statuina rivenuta a Bonefro è conservata nel Museo Nazionale di Chieti).

 

 

 

Con  piccoli frammenti incollati è stato ricostruito un vaso di terracotta panciuto. In conclusione, si può affermare che ci troviamo di fronte ai resti di una fattoria rustica, se non addirittura di una villa rustica, come sarebbe dimostrato dal ritrovamento di un pezzo di mosaico pavimentale.

 

 

Sono stati ritrovati nel punto denominato 'a pezze 'a Chenale due vasetti di teracotta.

 

 

 

Salendo ancora più su, nella zona che va dai 758 m di Colle Miozzi ai 777 m dei Montazzoni è stato ritrovato un materiale di varie epoche e di varia natura. Oltre a una punta di lancia in ferro, sono riaffiorati tre bacini in bronzo.Quello più integro, profondo circa 6 cm, ha il diametro interno intorno ai 37 cm e quello esterno di 49 cm; il bordo presenta una triplice fila di fregi geometrici.

 

Il reperto più importante è costituito dai frammenti di un colatoio in terracotta grezza anteriore al III sec. a. C. Sono una testimonianza preziosa, perché attestano che nella zona sin dai tempi più antichi era praticata la pastorizia e che venivano prodotti i derivati del latte, quali la ricotta e il cacio.

 

 

Nell'estate del 1983, in seguito a un'aratura profonda, è venuta alla luce una tomba in muratura ricoperta da lastroni di pietra, risalente al sec. VII d. C. Al suo interno, accanto allo scheletro, è stato rinvenuto un anello di fibbia in bronzo terminante con due occhielli; di colore verde scuro, è decorato con una linea mediana zigrinata. L'esemplare, datato al VI sec. d. C., è simile a quello trovato, oltre che in Lucania, Puglia, Campania e a Vastogirardi, in una tomba di S. Maria di Casalpiano (Morrone del Sannio): tutti sono collegati alla cultura bizantina dei sec. VI-VII d. C., prosperata alla vigilia della calata in Italia dei Longobardi.


Fonte: L'Università della Terra di Venifro di Michele Colabella

2)  IL PIANTO DELLE DONNE  (CHIAJ DONNE)

La tradizione popolare fa risalire alla leggenda del ratto delle venafrane le origini di Bonefro

     Era il mese di maggio di mille anni fa. Alcuni pellegrini diretti al Santuario di San Michele Arcangelo si fermarono in una radura ai confini tra il Sannio e l'Apulia, per ritemprare i loro corpi polverosi arsi dal sole. Erano partiti molti giorni prima dalla Piana di Venafro, ma ormai erano vicino alla meta: dicevano gli anziani che, una volta guadate le acque della Sciumara, laggiù nella valle, non rimaneva da percorrere che  un tratto della pianura Apula. In effetti all'orizzonte nella sua mole maestosa si stagliava il promontorio del Gargano.

     Tutti i pellegrini erano in preda a una grande emozione: più ansiose delle altre, tuttavia, erano tre giovani coppie che desideravano consacrare la loro unione all'Arcangelo Michele.

     Prima di affrontare l'ultima fatica, i pellegrini vollero dunque concedersi, una pausa di meritato riposo. Essi si disposero in gruppi, sotto gli alberi frondosi  che circondavano la radura e cominciare a mangiare con avidità il loro tozzo di pane.

     All'improvviso quella pace campestre fu rotta da un forte tramestio di rami e da urla selvagge, in men che non si dica apparvero dei rozzi pastori, i quali si avventarono sulle donne e le trascinarono con forza nella boscaglia.

     Passato un primo momento di sorpresa, gli uomini cercarono di inseguire i rapitori, ma i loro tentativi non i si poteva orientare in quei luoghi impervi e sconosciuti? E così i Venafrani, con il cuore straziato dal dolore, non poterono fare altro che ritorno.

     Il destino volle che il ratto delle sposine non rimanesse fine a se stesso. I pastori si unirono alle donne rapite, le quali oramai si erano rassegnate al nuovo stato di cose, e fondarono un piccolo villaggio, al quale imposero il nome di Venifro, in ricordo di Venafro, il paese di origine delle compagne.

     Il ratto ebbe effetti completamente diversi sulle coppie di sposi. I tre giovani mariti non trovarono la forza di sopportare la perdita delle loro donne, tanto che, arrivati nei pressi del torrente Cigno, impietriti dal dolore si trasformarono in tre grossi macigni.

     Le spose, nel contempo, piansero e piansero tanto da far sorgere con le loro lacrime una fonte sotto il luogo del rapimento. Anche il cielo fu mosso a compassione: per alleviare il dolore delle fanciulle e per premiare la loro fede le trasformò in tre bianche colombe.

     Il profondo affetto che legava le tre coppie dura ancora oggi. Ogni giorno verso il tramonto, per rinnovare il loro patto d'amore, tre bianche colombe si innalzano in volo dalla fonte di Chiaj donne e vanno a posarsi sui tre macigni di Pasca-palomba


particolare: le colombe sulla Prete Paschepelombe


3. Le sue origini storiche

Bonefro è un comune di circa 1.500 abitanti nella provincia di Campobasso, situato ad un'altezza di 631 m sul livello del mare. Il suo territorio spazia dai 380 m del torrente Tona agli 890 del Cerro del Ruccolo, a presidio del Tratturo Celano-Foggia e in vista delle isole Tremiti.

 

I primi abitanti risalgono al periodo longobardo, come è dimostrato da alcuni toponimi giunti fino ai nostri giorni (la toponomastica è l'archivio della memoria), quali, all'interno dell'abitato, Gàifo "terra che non appartiene a nessuno".

 

 

Nel contado, invece, è attestata nella contrada Vado Avellana  'u Av'te, corruzione di Galdo, che deriva da Waldo e che nel tedesco moderno Wald significa “foresta” (si veda San Giovanni in Galdo).

 

 

A guardia del tratturo a 654 m si erge Monte Cinolfo, donato a uno dei fideles del conte (si vedano Fonte Cinolfo a Morrone del Sannio e Poggio Cinolfo in provincia dell'Aquila); lungo i corsi d'acqua del Fortore e della Tona varie località sono denominate Fara, termine longobardo che anticamente significava “gruppo familiare” e in seguito il luogo in cui si era insediato. L'abitato, molto probabilmente, venne formato verso la seconda metà dell'800, epoca in cui si edificarono i castelli, luoghi fortificati in difesa dalle incursioni. Il primo documento scritto è il diploma di donazione al monastero di Montecassino del monastero di Sant'Eustachio, fatta nel 1049 dal conte longobardo Adelferio, nel quale si legge: castello qui nominatur ipso Binifero (quindi nel significato di “zona che produce vino”, dal latino vinifer). Nella stessa occasione, furono donati anche il piccolo agglomerato rustico del Casale ('u Chesale) e i due monasteriola, dette celle, di San Benedetto (Sande V'nnette) e di San Paolo (Sande Paule), dei quali sono rimaste il ricordo nelle denominazioni delle rispettive contrade.

Nel contesto urbanistico e artistico dell'abitato assunsero rilevante importanza il Castello Aragonese, costruito intorno alla metà del 400.

 

La chiesa di Santa Maria delle Rose, edificata nel periodo romanico (sec. XII-XIII) e ristrutturata da mons. Tria nel 1731. Entrambi gli edifici sorgono sulla parte alta di uno sperone roccioso, nella zona comunemente detta Terravecchia.

 

Qui sono conservate quattro porte, vestigia del periodo feudale, quando l'abitato era circondato dalle mura (la loro parte sopravvissuta è il punto del palazzo Santoianni che dà su via Solitaria): Porta Molino, Porta Piè la Terra, Porta Fontana e Porta Nuova.

 

Altrettanto  importanti sono la chiesa di San Nicola, attestata la prima volta nel 1614 e rifatta dalle fondamenta nel 1731 dallo stesso mons. Tria; l'ex convento di Santa Maria delle Grazie, inaugurato nel 1716 e chiuso al culto nel 1809; le due fontane principali del paese, che prendono il nome rispettivamente di Fontana della Terra  (1771) e di Fontana dei Cechi (1816).


Per chi volesse approfondire la questione delle origini di Bonefro, viene presentato il testo originale del diploma di donazione al monastero di Montecassino, ricavato da E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis per securom seriem distribuita (709-1725), Venezia, Coletti, 1733, p. 215:

Fonte Prof Michele COLABELLA